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Nazionali giovanili, ad un mese dall'Oro U20, dopo quello U18, alcune riflessioni

La spettacolare estate dorata delle Nazionali giovanili italiane di pallacanestro femminile, anche il quinto posto dell’U16 va considerato un risultato notevolissimo – perché ha qualificato la squadra al Mondiale U17 del 2020 in Romania - , pone inevitabilmente sul campo per l’ennesima volta una domanda: dove vanno a finire queste ragazze straordinarie fino ai 20 anni una volta completato il percorso giovanile? Perché le due medaglie di questa estate sono la 12^ e la 13^ negli ultimi 12 anni dunque non sembrerebbero casuali, ma il frutto di un percorso importante che dovrebbe avere un sbocco a livello senior.

Possibile che giocatrici che hanno vinto tanto in dodici anni non abbiano potuto produrre una Nazionale senior in grado di piazzarsi un po' meglio di un 6°posto agli Europei del 2009 quindi quando era già iniziata la raccolta di allori? Possibile che l’ultima medaglia continentale rimanga quella del 1995 a Brno? Che alle ultime sei edizioni dei Mondiali (Australia 1994) non ci siamo qualificate e nemmeno alle ultime cinque edizioni delle Olimpiadi (Atlanta 1996)?

Cosa blocca il passaggio alla pallacanestro adulta delle nostre ragazze che almeno negli ultimi 12 anni sono una delle forze dominanti del Vecchio Continente insieme a Francia e Spagna? La risposta non è facile e chi dice di avere la ricetta giusta dice una falsità.

Le motivazioni sono tante.  Proviamo a cercarne alcune. 

Intanto la motivazione dell’utilità e tempi di formazione del settore giovanile. Secondo chi scrive dovrebbe servire a costruire persone e giocatori per il futuro ovvero per il movimento senior quindi bisogna dare tempo e capacità progettuale allo staff di ogni categoria di lavorare in questa ottica con un obiettivo unico. Vincere una medaglia deve essere al massimo un premio individuale – anche se la pallacanestro è un gioco di squadra – per ogni componente la squadra, giocatrici e staff ma non l’obiettivo, che invece deve essere la crescita costate psico-fisica, atletica e tecnica in linea con le diverse età.

Siamo tutti contenti dei successi ovviamente ma forse li baratteremmo volentieri se dalle varie Under arrivassero giocatrici pronte ad essere inserite nella Nazionale maggiore gradatamente e soprattutto se giocassero minuti di qualità ed in quantità nei campionati di serie A, coadiuvate da una programmazione almeno quinquennale a livello Federale. Nel femminile questo capita più che nel maschile ma non ancora abbastanza. Giocare ad alto livello – avendo completato lo sviluppo o avendo gli strumenti per farlo durante una stagione – vuol dire prima di tutto confrontarsi con gente più forte e quindi comunque avere la chance di migliorare. Ma vuol dire anche capire come provare a colmare un gap fisico-atletico che con altre nazioni è impressionante: Francia, Spagna e Germania oggi hanno in campo i figli e le figlie di generazioni di immigrati dall’Africa che geneticamente hanno una fisicità diversa, fibre muscolari diverse, che come sappiamo sono molto adatte alla pallacanestro. Se in più queste giocatrici sono ben allenate e preparate fin da piccole all’attività di un certo tipo ecco che il discorso si fa durissimo per noi. 

Perché o si trovano le generazioni fortunate come abbiamo quest’anno con le squadre di coach Riccardi e coach Orlando – ed allenatori molto bravi tatticamente come lo sono quelli italiani – oppure buona notte. E quando si passa senior il livello di “ingaggio” fisico è impressionante perché a quel punto in campo c’è anche l’esperienza delle più “vecchie” che fa tutta la differenza del mondo.

In più in Italia, ma questo attiene al Paese non solo al nostro mondo, ognuno, ogni società lavora solo ed esclusivamente per il proprio orto e mai pensando al movimento pallacanestro, mai pensando “Cosa posso fare per dare una mano?”. La domanda caso mai è “Come posso guadagnare da questa giocatrice/giocatore?”. Salvo casi rarissimi che rappresentano l’eccezione. Attenzione questo articolo è focalizzato sul femminile ma nel maschile le cose sono simili con l’aggravante che le nazionali giovanili non portano a casa le stesse medaglie e la Nazionale maggiore è ai Mondiali perché hanno allargato il numero delle partecipanti a 32 squadre. 

Il confronto con altri sport può valere solo se si parla di Federazioni con budget simili ma ce ne sono solo due che sono al livello della Fip: la Federugby che lo ha più alto e la Federvolley che lo ha più basso di pochissimo. Ma con circa 28 milioni di euro l’anno la Fip potrebbe fare molto di più per il settore squadre nazionali visto che a parte gli Europei, a livello senior non frequentiamo né Olimpiadi né Mondiali che sarebbero – oltre all’attività di base – il “core business” come direbbero quelli bravi, di una federazione olimpica. Quindi che fine fa questa montagna di soldi? Perché non viene investita in modo diverso sull’attività giovanile per favore ulteriormente la crescita dei ragazzi e delle ragazze che stanno per chiudere il loro rapporto con l’attività giovanile? Perché non si fa pubblicità al nostro sport? Ora che la Nazionale femminile ha un personaggio come Cecilia Zandalasini possibile che a nessuno sia venuto in mente di “sfruttarla” in modo utile alla pallacanestro?

Perché se vado in giro con Danilo Gallinari ed Ivan Zaytsev per strada tutti riconosco il giocatore della nazionale di pallavolo e solo gli addetti ai lavori riconoscono il “Gallo”? Il rugby ha fatto di Martin Castrogiovanni il suo ambasciatore: pubblicità con le farfalle (la Nazionale di ginnastica), ospitate a Zelig, pubblicità in tv ecc.ecc. Per non parlare del nuoto con la “divina” Pellegrini, Paltrinieri e prima ancora Massimiliano Rosolino che ha fatto di tutto. Che altro non hanno fatto che portare nuova gente a queste discipline e quindi allargare la base, la competitività, la selezione. I risultati – nazionale di rugby a parte che però è una squadra simpatica e che tutti conoscono – sono sotto gli occhi di tutti.

Tutto questo alle giocatrici e giocatori di basket italiani sembra vietato. Non ci credo. Gallo, Gigi Datome e Cecilia sarebbero volti fantastici da proporre al grande pubblico per far vedere che ci siamo, che esiste uno sport che non si nasconde. Ma il discorso diventa lungo e ci porta alla questione diritti tv che magari affronteremo in un altro post. Come la questione del professionismo.


scritto da Eduardo Lubrano





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